domenica 20 dicembre 2009

Studia studia somarello

Era la preistoria. Si tornava a casa all'una, qualche compito, poi a giocare. Eravamo una generazione d'ignoranti, probabilmente, figli di una scuola ignorante. Però mi guardo attorno, e non mi sembra che quelli venuti dopo siano la Sorbona.
Si finiva all'una, un po' di compiti, e a perdere tempo, si direbbe oggi.
Perdere tempo era la partita a pallone, il campetto, socializzare. Era la parola, la chiacchiera, l'avventura, magari anche il libro da leggere, visto che la tv cominciava alle 17, ma anche ci fosse stata, chi se ne frega...

Oggi, dalle medie, si finisce alle 16. Giusto il tempo di una merenda, Poi, i compiti. Se va bene, si finisce alle 21.
Socializzare? Boh, forse, chi riesce a fregarsene dei compiti, senza nulla, si gira, e per noia in fretta si diventa grandi, si fa tutto, poi viene il nulla, forse, ma un nulla sapiente (forse).
Se poi qualcuno vorrebbe dedicarsi ad uno sport, compresso fra un compito e l'altro, il tempo libero che diventa sacrificio dello studio, mai viceversa.

Chiedo, davvero è necessario che a 12 anni si sappia tutto della filologia, della filosofia, della sociologia, dell'economia. Davvero è necessario sapere tutto a 12 anni? Sicuri che sapere tutto alla fine non sia esattamente identico al non sapere niente?
A cosa servono i nomi, le date, se non si riesce a disegnare i processi per cui quei nomi hanno contato, le epoche (cioè il modo di sentire la vita) per cui sono state crocevia?
Manca la fantasia, oggi, la capacità di costruire storie, sono spariti i temi, che è misurarsi non con quel che si sa, ma con quel che si crea, il dono umano di immaginare schemi, la capacità di leggere non quello che è, ma quello che non è.
L’idea della disciplina per un dodicenne è assolutamente identica all’idea dell’anarchia. Un dodicenne deve imparare a scegliere, non a stare.
Non esaltiamoci se i nostri figli studiano, un po’ agitiamoci, anzi perché in quel momento, proprio in quel momento non stanno pensando, non stanno immaginando, stanno solo immagazzinando qualcosa che è troppo pesante per portarsi dentro più di qualche giorno.

Ma forse sbaglio, sono solo i dubbi di uno cresciuto in una generazione di ignoranti, figlio di una scuola ignorante. Probabilmente è così, ignoranti, perché attraverso i nostri tempi si è passati a questi, e per forza un po’ responsabili lo siamo, no?
Lo siamo colpevoli, perché non sappiamo distinguere chi parla di disciplina e poi ha scelto di fare gli esami a Reggio Calabria, un medico chirurgo che chissà perché deve fare il ministro dell’istruzione e una che passa da ministra a sindaca con lo stesso encefalogramma emozionale.
Lo siamo colpevoli perché non riusciamo a chiedere la scuola che meriterebbero i nostri figli e le nostre tasse.
La scuola che insegni loro cosa siamo stati veramente, non i giuli cesari o i vittori emanueli...

Non è questione di politica, perché dovunque ti volti, di qua e di là, c'è solo il silenzio delle cose e l'urlo della retorica, di qua o di là nessuno ha la voglia e il coraggio di affrontare il problema vero della scuola, tutti che fanno, nessuno che pensa, nessuna strategia e tanti falli da confusione, e poi tutti a coprire una delle ombre vere, cioè che tra molti professori che fanno e danno amore, passione e professione, ci sono certi insegnanti che… mamma mia!
Ma che fai, li mandi a casa? E i sindacati? E Brunetta maestro dell'abbaiare per non cambiare niente?
Teniamoli va, male che vada faranno male a qualche alunno, fra tanti qualcuno di loro si salverà, se no i genitori a che servono?

giovedì 15 ottobre 2009

Ambiente, giovani, cultura: tre parole per Varedo

Quelli che verranno saranno tempi in cui ci giocheremo tutto, ma anche anni in cui tutto avrà opportunità di rinascere nuovo. Il compito di Varedofutura, e il vostro se vorrete esserci, sarà lasciare appunti di un domani possibile, scarabocchi di futuro nella consapevolezza che gli altri potranno correggerli, approfondirli, confutarli.

E’ inutile raccontarsela, questa crisi c’è, e la senti. Da una parte la tragedia dei singoli, dall’altra l’orchestrina da ultima notte sul Titanic, mezzi di informazione che raccontano solo di gente contenta e superenalotto, come se tutti, fortunati e sfortunati, non respirassimo un unico mondo.

Un mondo diviso, non sarà mai un mondo giusto. Come una città divisa non sarà mai una città al massimo delle sue possibilità. Per definizione, genesi ed essenza la città non è parte ma insieme che sceglie un cammino comune.

Sembrano giorni giusti perchè Varedofutura provi ad esistere anche perché una larga parte politica di questa comunità ha saputo andare oltre ogni preconcetto per considerare un’ispirazione come il nuovo PGT indicandolo come orizzonte ideale per Varedo. Riconoscere la direzione opportuna, indipendentemente dalla parte che l’ha concepita, è segno di intelligenza, capire che il mondo è fatto di cose giuste o sbagliate, non di definizioni ideologiche. Non esisterà mai una città perfetta, esattamente come non esisterà mai una società o una persona perfetta. Leggere una provenienza e darle una giusta direzione, questo è il compito degli uomini.

A Varedo ci sono tante idee da trovare. Luoghi da costruire. Nuovi panorami da disegnare. Parole da scrivere. Ne suggeriamo tre: ambiente, giovani, cultura.

Il paesaggio di una città pulita, non solo nei marciapiedi ma anche più su, nel modo di muoversi, di vivere. Una nuova ecologia, cioè un abitare, un comprare, un consumare, uno spostarsi che voglia dire salute. Servono idee…

A Varedo ci sono paesaggi da cambiare..

Nei giorni, nelle sere, nelle notti, abbiamo giovani depositati qua e là, appoggiati alle vie e alla noia. Per essi non esiste un riferimento culturale o sociale, nessun impegno che non sia l’oratorio, che non sarà mai la strada scelta da tutti. Ci lamentiamo, sospiriamo ma poi ogni famiglia è sola di fronte al disagio e alle difficoltà.

Esistono realtà che sugli adolescenti lavorano e costruiscono comunicazione e integrazione culturale Approfondiamo il rapporto con esse.. Se no, spegniamo le luci, tanto di sera in certe vie di Varedo la gente non esce. Risparmieremo sulle tasse e, finalmente, avremo alibi per non vedere .

E poi a Varedo ci sono i paesaggi da rappresentare.

Due gruppi teatrali, due scuole di ballo, sforzi creativi come il Palio, distretti scolastici che hanno volontà di creare eventi, possibile non ci si possa porre la nascita di un auditorium comunale? Non il Teatro alla Scala, uno spazio semplice ma funzionale, in cui Varedo possa creare, provare, pensare, organizzare, darsi dibattiti e idee, raccontare storie e la storia, non quella delle fanfare, la nostra.

Nel PGT si è intuita un’idea di città armoniosa. Si è dipinta una virgola di verde attorno alle case, attorno a noi. Dentro quel punto grigio di umanità ci deve essere uno spazio di pensiero e identità. Si deve provare a rappresentare la consapevolezza e l’orgoglio dei posti da dove veniamo e di ciò che siamo, e da essi far nascere il futuro, l’orizzonte delle culture, ingrediente indispensabile nella crescita di una comunità che voltandosi indietro, ritrovando sé stessa, può riscoprire il coraggio e l’orgoglio per il dialogo, la comprensione, l’integrazione, unica antitesi alle miserie di paure del tutto strumentali.

Come diceva Shaw: c'è chi guarda alle cose come sono e si chiede perché. Altri che sognano come potrebbero essere e dicono: perché no?

Insomma. O nuovi orizzonti. O l’inerzia mortale delle chiacchiere dei tanti eserciti delle 12 cadreghe cantati da Davide Van de Sfroos

Questo è il bivio, comunque volessimo chiamare il nostro futuro: Varedo. Brianza. Italia.

O Varedofutura…